
di UMBERTO COLAVITA maestro federale
Foligno, 13 sett. 2025 – Nel corso degli anni, la Giostra della Quintana ha vissuto un’evoluzione profonda, soprattutto per quanto riguarda l’impiego dei cavalli.

Negli anni ’50, agli albori della rievocazione equestre, i destrieri non erano specializzati: si trattava per lo più di cavalli abituati al lavoro nei campi, ai traini o ad altri mestieri faticosi.
Per pochi giorni all’anno, questi animali si trasformavano in eroi per caso, affrontando la giostra con coraggio e forza d’animo.
Tra questi pionieri vi fu anche Morello, un massiccio cavallo maremmano che per il resto dell’anno trainava il carro funebre del Comune, accompagnando i folignati nel loro ultimo viaggio.
Eppure, nel 1946, anche lui fu schierato al nastro di partenza. La sua partecipazione alla Quintana è rimasta nella memoria come simbolo di un’epoca autentica, dove la passione superava la tecnica.

Con il tempo, però, le cose cambiarono. Arrivò l’anglo-arabo-sardo e i tempi sul percorso iniziarono a scendere sensibilmente. Il primo cavallo a scendere sotto il minuto fu Bolero IV, di proprietà di Francesco Baldassarri, soprannominato “la Ferrari a quattro zampe”, montato da Mauro Mazzocchi: una vera svolta nella storia della Quintana.

Ma il vero spartiacque fu lui: Gianfranco Ricci, cavaliere nero del rione Spada. Fu il primo a portare in pista negli anni ’80un purosangue, rompendo ogni schema. Da quel momento, inizia l’era delle “Formula Uno” equine: cavalli dal garretto possente, velocissimi sul rettilineo e precisi come bisturi nelle curve.
Da quel momento, questa razza cominciò a dominare la scena, diventando la scelta quasi esclusiva per tutti i rioni. Oggi, infatti, si corre solo con purosangue, grazie alle loro straordinarie doti atletiche e alla costante preparazione cui sono sottoposti.
I risultati parlano chiaro: le performance sono migliorate costantemente nel tempo.
Questi cavalli sono veloci, affrontano le diagonali con accelerazioni mozzafiato, sfiorano il braccio ligneo della statua che regge l’anello, per offrire al cavaliere la traiettoria perfetta.

Il record attuale è detenuto da Guitto (nella foto) montato da Luca Innocenzi, con il tempo di 51”87.
Un altro aspetto fondamentale riguarda la cura dei cavalli. Oggi, rispetto al passato, gli animali sono seguiti con estrema attenzione sotto il profilo veterinario, alimentare, e atletico.

Non si improvvisa più nulla: il lavoro inizia mesi prima della gara e prosegue tutto l’anno, a differenza dei primi tempi in cui i cavalli restavano al paddock fino a poche settimane dalla corsa.
Ma, al di là della razza o del tipo di preparazione, una cosa non cambia: il cavallo, se rispettato e trattato con cura, dà tutto sé stesso, fino all’anima. Ed è proprio per questo che merita la massima considerazione, rispetto e gratitudine. Sempre.
(Tratto dalla rivista ECO -speciale Quintana- in distribuzione gratuita c/o lo IAT a Porta Romana, biblioteca Comnunale in piazza del Grano, foto studio Mazzocco in via Mazzini)
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